giovedì 27 agosto 2020

Škrlatica, Alpi Giulie - Via Normale

Quest'anno, Covid a parte, per tutta una serie di ragioni ho trascorso una parte delle mie vacanze in Friuli, mi sono concesso qualche giorno di mare e approfittando di alcune giornate splendide (ancorchè molto calde), mi sono concesso un paio di giri nelle mie Giulie. Dopo aver scalato per la seconda volta a distanza di poche settimane il Montasio, stavolta per la via normale, mi sono voluto dedicare a qualcosa di nuovo e una montagna in particolare mancava dalla mia lista da tempo: si tratta della seconda cima slovena, la Škrlatica, dopo Triglav e Montasio la terza fra tutte le Alpi Giulie.
La via che ho scelto per comodità è dalla Val Vrata, la stessa da cui solitamente si parte per affrontare il Triglav, la Škrlatica di fatto gli sta proprio di fronte. Gita lunga e selvaggia da vere Alpi Giulie. Arrivo a Tarvisio la sera prima dopo una cena con amici a Latisana e dormo in macchina nel parcheggio del Despar appena oltre Dawit, la mattina di buon'ora ripercorrendo un breve tratto indietro vado proprio Dawit a fare colazione e mi faccio fare un panino. Monto in macchina e riprendo la strada per uscire dopo Fusine in Slovenia seguendo le indicazioni per Kraniska Gora, da qui ancora un pezzo in avanti per poi girare a destra ed entrare in Val Vrata. Percorro tutta la valle ed arrivo al parcheggio a ridosso dell'Aljazev Dom: c'è già molta gente, il parcheggio è decisamente ben popolato, del resto le condizioni meteo sono perfette e da lì si parte anche per il Triglav...ero sicuro che il mio obiettivo avrebbe attratto molte meno persone e non sono stato smentito. Faccio velocemente lo zaino infilando un ricambio, l'acqua, il casco, l'imbrago e il kit da ferrata: come molte altre cime delle Alpi Giulie anche la Škrlatica è da considerarsi una gita soprattutto escursionistica evoluta: solo nella parte alta c'è la presenza di qualche tratto attrezzato e di semplici passi di arrampicata mai oltre il I grado. Vero è anche che i tratti attrezzati non sono da intendersi come "vie ferrate" in senso dolomitico: spesso in Slovenia si fa un largo uso di pioli ma non di cavo e sempre a settori discontinui laddove serve, bisogna quindi sempre considerare di dover fare qualche passo esposto in libera. Le vie normali di tante cime delle Alpi Giulie si pongono pertanto per quanto mi riguarda esattamente al limite tra l'escursionismo avanzato e un alpinismo facile: non mancano mai i bolli o le tracce, il terreno però è spesso poco addomesticato e richiede molta attenzione, i passaggi chiave sono facilitati dalle attrezzature, le difficoltà tecniche oggettive sono contenute.
Il cartello da 6h per la cima, ma io oggi voglio testare la mia condizione quindi non mi faccio remore e imposto un certo ritmo di salita: mai sopra il limite dell'affanno, ma senza pause e deciso. Il primo pezzo risale un sentiero che superato un bosco porta su terreno aperto verso il Bivak IV, senza raggiungere lo stesso si traversa a destra (direzione N/NE) passando sotto le pareti della Dolkova špica, perdendo anche un pò di quota, si risalgono quindi i ghiaioni sempre seguendo i bolli per iniziare a portarsi sulle pareti Sud della Škrlatica. Una cengia in buona parte attrezzata e a tratti esposta fa guadagnare la facile cresta S/SE che con qualche balza rocciosa e un pò di aiuto di mano fa in breve tempo guadagnare la vetta. Sono partito alle 8 dal parcheggio, tocco la croce di vetta, prendo il cellulare e vedo che sono le 10:50...2h 50' per i 1700m abbondanti della via: sono contento, nonostante il caldo ho tenuto in bel ritmo. Durante la salita mi sarò imbattuto in 10-12 persone impegnate nella scalata, in vetta ce ne sono 3 e dopo di me poco dopo sopraggiungono tutti quelli che avevo superato. Non è una gara, ovviamente: ma il mio chiodo fisso è la condizione, sapere cosa posso chiedere al mio corpo per pensare anche a gite di un altro genere, dove la velocità spesso equivale a dire sicurezza. Mi godo il panorama, il Triglav è di fronte a me e mi fa ricordare di tanti anni fa ormai (quasi 10) quando proprio agli inizi del mio percorso alpinistico ci ero stato lungo la via di Bamberga con dei colleghi/amici tedeschi: è stata una bella sensazione a distanza di anni ripensarci...intorno a me il panorama ruota intorno ad Italia, Austria e Slovenia: siamo in quell'angolo di Europa dove le tre maggiori culture (latina/germanica/slava) si incontrano...sono orgoglioso di essere cresciuto qui, in questo angolo di mondo che rappresenta di fatto un continente intero e che dopo tanto sangue e tanti scontri ora appartiene a tutti, dove non esistono più i confini che solo l'emergenza sanitaria legata al Covid aveva temporaneamente ripristinato.
La discesa non offre grandi cose da riportare perchè purtroppo si snoda sulla stessa via di salita: sempre con buon ritmo ma stavolta concedendomi qualche pausa per le foto...fa caldo! Arrivo a valle al rifugio alle 13:30, cioè 5h e mezza dalla partenza. Mangio una jota e mi scolo in men che non si dica una birra e 1 litro di acqua!
Riparto con l'idea di passare per il passo della Moistrocca perchè è da tanti anni ormai che non ci passo più, credo dal 2014, cioè dalla scalata allo spigolo Nord della Mala Moistrocca! ...e poi voglio anche fare un bagno nelle acque del Soca: la giornata sarà perfetta fino in fondo, per il giorno dopo ho idea di rifare il Mangart partendo da Fusine, questa volta gita già fatta, niente di nuovo, ma un altro test per verificare la condizione fisica (cioè altri 1800m di dislivello positivo!)...qualcuno potrà dire: ma per far cosa? Io mi limito a rispondere: "non si sa mai...a buon intenditore, poche parole!"

martedì 21 luglio 2020

Via di Dogna al Montasio

"Questo itinerario, con il quale si superano complessivamente circa 1900m di dislivello, è uno dei più lunghi delle Alpi Giulie. Le difficoltà tecniche sono scarse e discontinue, ma la grandiosità dell'ambiente, qui ancora eccezionalmente selvaggio, rende l'ascensione ben remunerativa nel suo insieme..."
Sulla mia copia della "Guida dei monti d'Italia, Alpi Giulie", la pagina della via di Dogna è ancora segnata da un foglio di carta, un foglio messo lì quasi 10 anni fa quando, fresco fresco dei primi passi nel mondo dell'alpinismo, la mia attenzione subito vi era caduta, come tante vie e tante altre cime che l'impazienza dei miei 20 anni voleva subito conquistare. Nessun mistero che di per sè questa montagna in particolare sia sempre stata per me quasi una calamita: il canalone Findenegg è stato la mia prima "impresa" in solitaria nell'autunno del 2011, giorno che ricordo ancora con grande emozione...canalone che avrei ripetuto già prima di quest'ultima volta anche in invernale. Con il passare del tempo l'interesse non è che fosse svanito, ma vi si erano sovrapposte tante altre cime e tante altre gite. In realtà non so nemmeno come con Andrea così di colpo e quasi per caso, parlandoci al telefono in una normale sera estiva, viene nominata quella via e la domanda "perchè non la facciamo finalmente?", è stata naturale ed immediata: del resto siamo a digiuno di difficoltà importanti su roccia da tempo, ma conosciamo quell'ambiente, le Alpi Giulie e siamo di default allenati cosicchè il dislivello importante non ci pare minimamente un problema e i passaggi di arrampicata con tanto II e qualcosa di III non ci fanno sospirare...forse ce lo diciamo è proprio questa la via giusta per riprendere il feeling con la "parete". Domenica mattina 6:15 partiamo da Udine anzi ufficialmente da Plaino dove mi trovo con Andrea e con destinazione i piani del Montasio per lasciare la mia macchina. Dopo una veloce colazione al rifugio Divisione Julia a Sella Nevea, scendiamo e ci addentriamo quindi in Val Dogna con l'auto di Andrea per intercettare la cappelletta dedicata al col. Zacchi e quindi l'inizio dell'avvicinamento. Non ho motivo di riportare una relazione tecnica dell'avvicinamento e della via, per quello si possono tranquillamente consultare il Buscaini o la relazione di "Quarto Grado", pertanto mi limiterò alle impressioni durante la salita. La strada della Val Dogna che termina a Sella Sompdogna qualche km dopo il punto dove lasceremo la macchina, per me è un mistero. L'ambiente è selvaggio e la natura (come spesso si osserva sulla Giulie) repulsiva: pendii ripidi, scoscesi, vegetazione e pareti rocciose incombenti, non un pascolo, frane ovunque...un paesaggio severo non addomesticabile ma allo stesso tempo autentico: pochi i segni di umanità, qualche "paesino" dai nomi impronunciabili, un viadotto abbandonato. Ci pare quasi che l'unico senso che ha quella strada sia quello di permetterci l'accesso alla nostra tanto agoniata meta.
Parcheggiamo la macchina, ci mettiamo in movimento poco dopo le 8:20, dalla già menzionata cappelletta, scendiamo la forestale (indicazioni Via Dogna) e oltrepassiamo il torrente Dogna e seguiamo la forestale ignorandone i bivi, dopo una radura e una curva a sinistra su un masso compare ben visibile (e visibilmente rinnovato da poco) l'indicazione "Via Dogna", da qui si risale un bosco di faggi con evidenti segni di passaggio e bollini rossi talora sbiaditi talora più nuovi: da dopo che il bosco si dirada la traccia rimane comunque evidente per via dei numerosi ometti e di qualche segno rosso qua e là e piano piano ci si addentra nella Clapadorie su terreno a volte franoso in un lungo traverso con diversi sali scendi, mughi, erba e roccia, talvolta esposto ed insidioso. Si deve abbandonare questa traccia su cengia in corrispondenza di un ultimo evidente canale di acqua, oltre il quale la traccia sembra continuare: il riferimento è il culmine dell'incombente parete gialla strapiombante sulla famosa "rampa", se si prende quella come riferimento diventa relativamente facile capire quando deviare decisamente a sinistra per risalire una paretina di gradoni che fa guadagnare una traccia sul margine di una grande macchia di mughi sottostante e che in diagonale sinistra conduce al bivacco Muschi (ci abbiamo messo 2h30' contro le 3-4h solitamente indicate).
Dal bivacco inizia l'arrampicata vera e propria sulla caratteristica rampa, ci siamo legati ma salvo il primo passo e un tiretto dopo l'uscita sullo spigolo della rampa abbiamo affrontato la scalata sempre a corda corta con difficoltà discontinue e innumerevoli possibilità di passaggio, tendenzialmente siamo rimasti sul settore sinistro della rampa per poi deviare verso destra in uscita della stessa. Finita la rampa si esce fuori sullo spigolo della stessa, rinveniamo 2 ometti e percorriamo una cengia erbosa sul settore sinistro, poco prima del termine della stessa effettuiamo un tiro di 50m risalendo la parete appoggiata a dx (visibili 2 spit con un cordone nero dopo un 10-15m). Usciti dal tiro mancano diverse decine di metri di dislivello su terreno impervio e ripido per ricollegarsi alla traccia della via Amalia che però è ben visibile: riconosciamo l'inconfondibile profilo della sfinge del Montasio e il Belvedere. Per arrivare al Suringar si segue la stessa (bolli rossi) evitando tracce più basse e non segnate che portano fuori via. Dal Suringar si percorre un tratto della grande cengia fino alla deviazione (a SX) per il canalone Findenegg che si risale potendo fare affidamento anche ai numerosi bolli rossi. La cima è avvolta in una nuvola che non vuole spostarsi quindi purtroppo per noi canalone/cresta e cima li affronteremo con bassa visibilità. La gambe iniziano a sentire il peso del lungo tragitto, ma arriviamo in cima e ci rendiamo conto di averci impiegato 5h30' dalla macchina: un tempo decisamente basso, il che ci rallegra perchè nonostante le occasioni sempre più rade e nonostante la modesta attività estiva su roccia, ci fa sentire ancora una cordata affiatata.
Non ci tratteniamo a lungo su, sarebbe stato bello ma il panorama lo possiamo solo immaginare, quindi seguendo la cresta lungo la via normale arriviamo alla scala Pipan che scendiamo e quindi dopo un altro pendio franoso arriviamo alle rocce ed infine ai ghiaioni. Qui si impone l'immancabile corsa dei ghiaioni, una highlight imperdibile e sempre remunerativa: correndo giù dai ghiaioni raggiungiamo anche 2 ragazzi che erano sulla Dogna oggi e che avevamo visto oltre la metà della rampa quando eravamo giunti al Muschi: conversiamo piacevolente scendendo insieme verso Malga Montasio e il parcheggio dove ci salutiamo. Il resto della serata è stato l'immancabile polletto al "buon arrivo" a Resiutta e il recupero della macchina di Andrea in Val Dogna, oltre al lungo rientro su Bolzano. Per me è la quarta o quinta volta su questa montagna, però per una via diversa e per la prima volta in estate! Un viaggio nel cuore del lato più severo e selvaggio delle Giulie Occidentali, una giornata fantastica!